“La cucina italiana non esiste”: il libro che fa discutere

“La cucina italiana non esiste”: il libro che fa discutere

“La cucina italiana non esiste”: un saggio che unisce storia, economia e provocazione sulla tradizione culinaria del Bel Paese.

Ogni tanto, nel variegato universo dell’editoria, spunta fuori qualche opera capace di sollevare polveroni e solleticare, per non dire irritare, le papille gustative del dibattito culturale. È il caso di “La cucina italiana non esiste” di Alberto Grandi e Daniele Soffiati, un saggio che, a modi pesto genovese ben amalgamato, miscela storia, economia e un pizzico di provocazione, al fine di disegnare un ritratto inedito – e sicuramente controverso – della nostra cucina nazionale.

Italia dentro tazza di cappuccino

Di cosa parla il libro

Affermazioni forti che fanno discutere, quelle che troviamo nel volume in questione. Pizza, carbonara, pasta al pomodoro, caffè sospeso e dieta mediterranea sono tutte creazioni che non sono sempre esistite. Il mito della cucina italiana come la conosciamo oggi è un’invenzione recente, nata poco più di cinquant’anni fa grazie all’industrializzazione di massa degli alimenti, al miglioramento del benessere individuale, a una sapiente strategia di marketing che ha rilanciato una presunta tradizione e ai continui aiuti economici (e culinari!) provenienti dagli Stati Uniti.

In ogni capitolo, Grandi e Soffiati insistono con le loro rivelazioni. Ad esempio, esaminano le abitudini alimentari in relazione alle possibilità economiche, geografiche e naturali delle persone che preparavano il cibo, smontando (e qui raccolgono tre punti a loro favore) l’ennesima bufala del concetto di dieta mediterranea, che in realtà è più un costrutto ideale che una realtà, nato dall’opera di un team di scienziati americani che studiarono la cucina nel Sud Italia negli anni cinquanta. Secondo i due autori, il mito della cucina italiana, così come la conosciamo oggi, iniziò a prendere forma intorno agli anni settanta del Novecento.

Quello che emerge dalla lettura è un’Italia culinaria meno custode gelosa di segreti tramandati di generazione in generazione e più laboratorio creativo, capace di reinventarsi e adattarsi, spesso in risposta a stimoli e necessità esterne, come quelle economiche e sociali dettate dall’emigrazione e dall’industrializzazione.

Il falso mito della carbonara

Secondo quanto rilasciato dal professor Alberto Grandi in un’intervista al Financial Times, la carbonara giusta, simbolo di romanità culinaria, non esiste. Essa infatti emerge nei racconti storici solo nel dopoguerra, la vediamo apparire in un ricettario del 1952 a Chicago con ingredienti fluttuanti tra le ricette che, oh scandalo, includono persino panna e cipolla. Un viaggio transatlantico di gusti e sperimentazioni culinarie che si scontra con l’integralismo gastronomico di chi vorrebbe la ricetta “originale” ibernata in qualche testamento antico.

Pizza e Pomodoro: invenzione made in USA

Si scopre che la pizza, ben prima di diventare quel circolo perfetto di mozzarella, pomodoro e basilico codificato nella margherita, aveva un passato molto più umile e disordinato, quasi un collage di avanzi sulla pasta lievitata. Il suo restyling in chiave moderna? Frutto dell’ingegno italo-americano, le cui radici affondano più nel sogno americano che nelle strade polverose di Napoli.

Anche la pasta al pomodoro subisce un’analisi simile: da semplice alimento di sostentamento senza troppe pretese, a vessillo della nostra identità culinaria, il passo è stato lungo e decisamente influenzato dai gusti e dalle abitudini degli emigrati italiani in America.