La denuncia (non nuova) sul trattamento dei lavoratori nei ristoranti stellati è da brividi. Cosa succede nelle cucine e nelle buste paga?
Ottimo cibo, servito a regola d’arte e con combinazioni sempre diverse, mangiare in un ristorante stellato sembra un sogno per tanti… ma di certo non per chi ci lavora. Sembra infatti che il trattamento della “gavetta” nei ristoranti premiati e pluripremiati non sia una passeggiata e anzi, qualcuno ammette che è una vita da incubo. Sul web si trovano testimonianze più o meno famose, che andremo a vedere meglio per scoprire cosa capita nelle cucina e a quanto ammontano gli stipendi.
Il caso del Noma
Uno dei primi a denunciare il trattamento dei lavoratori disumano è stato proprio il Noma di Copenaghen, che ha chiuso temporaneamente a inizio anno. Sembra proprio che uno dei ristoranti stellati migliori al mondo dovesse la sua fama non solo alla ricerca e alla sperimentazione, ma anche al lavoro gratuito di ben 30 stagisti ogni 3 mesi. A confessarlo è stato proprio lo chef e fondatore del Noma, in occasione dell’annuncio della chiusura, ha infatti detto che molti suoi collaboratori “lavoravano gratis pur di avere accesso ai segreti della cucina”. Ha inoltre ammesso che questa situazione è “eticamente non sostenibile”.
Il problema in Italia
Anche in Italia il problema nell’ambiente sembra esserci, e il campanello d’allarme è scattato già da una delle ultime dichiarazioni di Alessandro Borghese sul tema della carenza di nuove leve. Lo chef e conduttore televisivo ha infatti affermato: “lavorare per imparare non significa essere per forza pagati”.
Today ha scavato quindi nel mondo della cucina stellata, grazie all’intervista pubblicata di un giovane chef italiano con una buona esperienza nel settore, che comprende anche 2 ristoranti stellati siti nel nord-Italia.
Stipendi da fame
Il ragazzo che ha parlato ai taccuini di Today ha affermato che, nel 2021, ha lavorato per circa 1 anno in un ristorante con 1 stella Michelin. “Mi hanno offerto un contratto come aiuto cuoco: – ha spiegato – sulla carta part time 20 ore per 600 euro, ma mi hanno subito detto che l’orario sarebbe stato full time e che mi avrebbero dato altri 600 euro, però fuori busta”.
Anche ‘l’alloggio’ era compreso, nonostante definirlo tale pare decisamente troppo generoso: “Una casetta di 30 metri quadri, due stanze in cui vivevamo in 5-6 persone, a un livello che definirei neanche studentesco. Però in casa non ci stavo mai se non per dormire”.
L’orario si è rivelato effettivamente full time, se non di più. Entrava alle 9 e faceva pausa di un’ora dalle 15.30 alle 16.30, poi di nuovo a lavoro fino a mezzanotte. In estate poi i giorni lavorativi erano sei su sette, sempre con i medesimi ritmi. Facendo i dovuti calcoli vengono fuori ben 84 ore lavorative la settimana, con uno stipendio di 3,6 euro all’ora (contando anche i 600 euro fuori busta nei calcoli). Dopo tre mesi lo chef ha chiesto un aumento di 200 euro, che gli è stato negato.
E questa è solo la prima esperienza stellata, nel secondo ristorante la situazione si è dimostrata molto simile, con un inquadramento maggiore, ma stesso contratto part time sulla carta e full time (se non di più) nella vita di tutti i giorni. Dopo due mesi di lavoro lo stipendio è arrivato a 1500 euro al mese, che significano 5,2 euro all’ora, infatti anche qui lavorava molto più delle 8 ore canoniche. “Lo facevo perché non avevo spese, altrimenti non avrei potuto accettare”.
Il regime del terrore
E tralasciando gli stipendi da fame c’è anche un altro grande problema nel settore: la pressione e il trattamento a cui si è sottoposti. Come ha confessato a Today lo chef: “Il clima è allucinante a livello psicologico e bisogna partire dal punto che, se sei l’ultimo arrivato, qualsiasi cosa tu faccia è sbagliata. Da un lato questa cosa ti sprona al miglioramento, dall’altro è demotivante. Vieni schiacciato dallo chef o da chi comunque è sopra di te. È la mentalità della cucina ed è circolare: quando sali di livello, poi diventi tu quello che se la prende con chi è sotto di te, e così si autoalimenta questo circolo vizioso”.
Non molti riescono a sopportare e a superare questo regime del terrore, infatti proprio lo chef ha confessato di aver visto persone che, quasi arrivati al traguardo, hanno deciso di cambiare completamente lavoro.
E dopo tutto questo?
Dopo tutto questo? “L’ambiente in cucina è quello, funziona a piramide come un esercito, però funziona. Diventi un robot, un ingranaggio della macchina, ma per arrivare alla perfezione non c’è altro sistema. Inizialmente, quando guardavo i miei superiori, pensavo “non vorrei mai diventare come lui, prendermela con l’ultimo arrivato”: ma ora che sono chef mi rendo conto che lo faccio anche io. Sono diventato quello che non avrei mai voluto essere, perché la frustrazione ti porta a essere così”.