Come fare i cantucci toscani: la ricetta originale con le mandorle
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Come fare i cantucci alle mandorle: la ricetta originale toscana

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cantucci

Ottimi con il tè o il caffè ma strepitosi con il vin santo, ecco la ricetta dei cantucci alle mandorle toscani.

I cantucci sono dei biscotti secchi toscani, originari di Prato, preparati con delle mandorle e tagliati nella classica forma a fetta appena sfornati. Il loro nome lo devono al termine latino “cantellus“, che significa fetta di pane, e si riferisce proprio alla loro forma, così particolare.

I cantucci alle mandorle vantano una menzione d’onore, nel 1867, alla celebre esposizione universale di Parigi. Preparare in casa questi biscotti secchi è davvero facile, e gli ingredienti che occorrono sono davvero pochi.

Cantucci alle mandorle
Cantucci alle mandorle

Ingredienti

Per i cantucci

  • Farina 00 – 280 g
  • Zucchero – 150 g
  • Mandorle con la buccia – 120 g
  • Uova – 2
  • Burro – 50 g
  • Ammoniaca per dolci (o lievito) – 1/2 cucchiaino
  • Arancia bio – 1/2
  • Sale – 1 pizzico

Per completare

  • Tuorli – 1

Preparazione

Come preparare la ricetta dei cantucci fatti in casa

1

Iniziate dalle mandorle, che devono avere necessariamente la pellicina marrone. Disponetele su una teglia e fatele tostare per alcuni minuti.

2

Rompete le uova in una ciotola, aggiungendo lo zucchero semolato e un pizzico di sale, e lavorate il tutto con una forchetta. Non occorre essere troppo precisi. Profumate con la scorza di arancia grattugiata.

3

A questo punto aggiungete il burro morbido, la farina – meglio se setacciata – e l’ammoniaca per dolci (in alternativa del comune lievito per dolci).

4

Incorporate nell’impasto le mandorle tostate, che avete fatto raffreddare, e poi formate dei filoncini larghi 3-4 cm senza però appiattirli. Limitatevi ad adagiarli su una teglia rivestita di carta forno.

5

Spennellate i filoncini con il tuorlo sbattuto, e poi infornateli a 180°C per 25 minuti.

6

Appena sfornate i filoncini, tagliateli con un coltello nella loro classica forma a fette diagonali di 1,5-2 cm di spessore. Adagiateli di nuovo sulla teglia con il taglio a contatto della stessa e cuoceteli per altri 10 minuti, girandoli a metà cottura in modo da ottenere una croccantezza uniforme. Una volta freddi, i cantuccini alle mandorle sono pronti per essere gustati.

Ed ecco una videoricetta molto simile, anche se è stata realizzata per un numero maggiore di persone:

Servite i vostri cantucci alle mandorle da soli, magari per realizzare dei bellissimi regali gastronomici, oppure a fine pasto, insieme al caffè o con il vin santo. Inoltre, se amate la particolare consistenza di questi biscotti e cercate qualcosa ottimo da inzuppare nel latte provate i cantucci al cioccolato: non ve ne pentirete.

Cantucci o tozzetti: c’è differenza?

Spesso quando si parla di cantucci si nominano anche i tozzetti. Perché? Che cosa sono? È presto detto: quando la ricetta originale dei cantucci (che, ricordiamo, è codificata) subisce delle modifiche, allora quei biscotti dovranno essere chiamati tozzetti.

Se sono, ad esempio, con le nocciole o morbidi, allora abbiamo di fronte dei tozzetti e non dei cantucci. Chiaramente, i cantucci sono sempre anche dei tozzetti ma non è vero il contrario.

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Conservazione

Se conservati in una scatola apposita, con coperchio, e lontano da fonti di luce o di umidità si possono mantenere anche per 1 mese. Attenzione, se dopo qualche giorno dovessero risultare mollicci consigliamo di non mangiarli.

Origine e storia

Questi biscotti tipici toscani sono noti anche come cantuccini, biscotti di Prato o biscotti etruschi. Secondo alcune fonti storiche, tra i loro antenati figurano i cantellus, delle fette di pane biscottato aromatizzate all’anice diffuse in epoca romana. Proprio come i nostri biscotti, avevano il pregio di conservarsi a lungo risultando quindi ottimi per le campagne militari.

Per come li conosciamo oggi sono tipici della città di Prato ma nacquero in realtà a Siena. Anche l’aggiunta delle mandorle è postuma e per questo dobbiamo ringraziare Caterina de’ Medici, una sovrana appassionata di buon cibo e gastronomia.

Da lì la storia dei cantucci è ben tracciata: nel 1691 vengono menzionati e descritti dall’Accademia della Crusca come “biscotto a fette, di fior di farina, con zucchero e chiara d’uovo“. Ricomparvero poi nel XVIII secolo in uno scritto di Amadio Baldanzi oggi gelosamente custodito presso l’Archivio di Stato della città di Prato e considerato come l’unica e originale ricetta. Come accennato nell’introduzione poi, i cantucci arrivarono anche all’Expo di Parigi del 1867.

Arriviamo in epoca più recente. Nel XIX secolo Antonio Mattei, noto pasticcere di Prato, inizia la produzione dei cantucci proprio come li conosciamo oggi. La sua Bottega di Mattonella, con l’insegna “fabbricante di cantucci, biscotti e altri generi” è tuttora attiva e rappresenta un’istituzione con il suo sacchetto color azzurro Savoia, realizzato in omaggio ai re dell’epoca.

Nel 2011 poi venne fondata l’Assocantuccini, un’associazione di produttori avente come obiettivo il riconoscimento del marchio IGP ottenuto poi nel 2015. In base al disciplinare, i cantucci devono contenere almeno il 20% di mandorle e avere peso massimo di 15 g al pezzo e dimensioni non superiori a 10 cm di lunghezza, 3 cm di altezza e 2,8 cm di larghezza.

Ricette simili sono presenti con nomi diversi anche in altre zone d’Italia: in Romagna abbiamo gli scroccadenti, di forma più grande; in Basilicata le stozze; in Sicilia i piparelli.

Cantucci e vin santo

L’abbinamento per eccellenza è quello tra i cantucci e il vin santo, un vino passito aromatico tipico toscano. Secondo il bon ton andrebbero gustati insieme ma non inzuppati ma provate a convincere un toscano!

Curioso però il nome con cui viene identificato il vino. La storia (o meglio la leggenda) a riguardo si è davvero sprecata. Secondo alcuni questo fino venne utilizzato da un frate francescano per curare la peste nel 1348. Secondo altri il riferimento è all’usanza di lasciar appassire le uve fino alla Settimana Santa prima di procedere alla pigiatura. A un che di originale la leggenda che riporta l’esclamazione di un greco, tale Giovanni Bessarione. Nel sentire “Questo è vino di Xantos!” ossia di Santorini, i commensali capirono santos, pensando che l’uomo vi avesse visto proprietà miracolose.

La verità tuttavia pare essere meno prosaica: il vin santo viene così chiamato perché originariamente utilizzato durante l’Eucarestia. Poco importa però: la sua bontà è tale che personaggi del calibro di Herman Hesse e Pellegrino Artusi ne cantarono le lodi.

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ultimo aggiornamento: 18 Dicembre 2024 7:36

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